Alla scoperta della Charanda, lo sconosciuto rum messicano
LA CHARANDA E IL SUO TERRITORIO
Quando si parla di Charanda, non si può prescindere dal parlare del suo luogo di origine, da cui trae il nome. Siamo sull’altopiano della regione del Michoacán, in Messico. Qui si estendono rigogliosi campi di canna da zucchero che creano un meraviglioso contrasto cromatico con il ricco suolo vulcanico rosso. Le popolazioni che vivevano in questa regione nell’epoca pre colombiana, i Tarascan, chiamavano questa terra Charanda, appunto. Un termine che tradotto significa “Terra Rossa”. Da qui anche il nome di uno degli spiriti meno conosciuti e più affascinanti del paese; un distillato di canna da zucchero con una lunga storia. In Messico ci sono tracce della produzione di distillato da canna da zucchero già nella prima metà del 1500.
IL DISTILLATO E LA SUA IDENTITA’
La Charanda diventa una D.O. nel 2003, affiancandosi a distillati più famosi come tequila, mezcal, bacanora e sotol.
Un rum, quindi, che ha storia, tradizione ed un forte legame territoriale, ma nonostante tutto questo, è praticamente sconosciuto. Tanto sconosciuto che la sua storia oggi è a rischio.
La regione è oggi famosa perlopiù per la coltivazione di avocado, basti pensare che oltre l’80% della produzione messicana arriva proprio da qui. Oltre ad essere quasi l’unica regione messicana in cui si coltivano more e fragole. Tutto questo rende la produzione di canna da zucchero, e quindi di Charanda, una produzione poco appetibile dal punto di vista economico. Inoltre, in questa regione, esiste un forte problema sociale e politico, legato alla violenza dei cartelli. Cartelli che prendono possesso proprio delle coltivazioni di avocado, rendendole la propria fonte di finanziamento. Tutto questo nella totale, o quasi, indifferenza del governo messicano.
Il risultato? Dei quasi cento produttori di charanda di inizio secolo, oggi ne restano solo sei.
D.O. CHARANDA – DEFINIZIONE
Come abbiamo già ricordato, la Charanda diventa denominazione di origine protetta nel 2003.
Prima di analizzare a fondo la Denominazione di Origine, riportiamo per intero l’estratto (punto 4.6 del disciplinare) che definisce il distillato.
“4.6 Charanda
Bevanda alcolica regionale ottenuta dalla distillazione effettuata all’interno dello stabilimento, in continuo o discontinuo. Distillazione a partire da mosti fermentati da succo di canna da zucchero (guarapo) o suoi derivati (melado, piloncillo o melassa). Materie prime che derivano dalla molitura della canna da zucchero e che, in combinazione con ceppi di lievito, coltivati o meno, selezionati dallo stesso succo, effettuano la fermentazione alcolica. Dalla quale, mediante trasformazioni biochimiche e successiva distillazione, si ottiene questa bevanda alcolica. La rettifica di questo prodotto viene effettuata in alambicchi discontinui che originano i congeneri tipici che contraddistinguono il prodotto. La Charanda è un liquido incolore o ambrato se maturato in contenitori di rovere o legno di quercia. È proibita l’addizione di aromi estranei.”
CLASSIFICAZIONE E PRODUZIONE
Detto questo la Charanda si può etichettare seguendo quattro classificazioni.
- BLANCO: prodotto della distillazione senza passaggio in legno.
- DORADO (o OURO): risultato del blend tra charanda blanco e charanda anejo o reposado.
- REPOSADO: charanda invecchiata per un minimo di due mesi in recipienti di rovere inferiori a 5000 l
- ANEJO: charanda invecchiata per un minimo di 12 mesi in recipienti di rovere inferiori a 30o l
A qualsiasi classificazione appartenga è possibile l’addizione di zucchero, espresso in zucchero invertito, fino ad un massimo di 15 g/l. E’ inoltre possibile la diluizione con acqua al fine di raggiungere la gradazione alcolica di messa in commercio. La gradazione alcolica della charanda D.O. deve essere compresa tra 35 e 55 %abv. Il tenore di esteri può variare da 2 a 200 mg/100ml, mentre il tenore totale di alcoli superiori si attesta tra 20 e 500 mg/100ml. Il tenore massimo di metanolo permesso è di 300 mg/100ml.
Possono essere addizionati caramello, glicerina, estratti di rovere e sciroppo di zucchero, in quantità non superiori all’1,1% in volume.
ZONA GEOGRAFICA ED ETICHETTATURA
Secondo tale D.O. inoltre la Charanda si produce esclusivamente a partire da canna da zucchero proveniente solo da 16 comuni del Michoacan. Quindi solo sedici comuni dei 113 presenti nella regione sono autorizzati a produrre canna da zucchero per la produzione di Charanda D.O. I comuni in questione sono Ario, Cotija, Gabriel Zamora, N. Parangaricutiro, Nuevo Urecho, Peribán, Los Reyes, S. Escalante, Tacámbaro, Tancítaro, Tangancícuaro, Taretán, Tocumbo, Turicato, Uruapan y Ziracuarétiro. Tutti questi comuni si trovano ad altitudini che variano dai 1600 ai 3842 metri ed hanno la peculiarità di condividere il suolo rosso vulcanico, ricco di minerali, tipico della regione.
Questa zona ha una densità di precipitazioni che variano dai 700 ai 900 mm all’anno, ed una oscillazione termica annuale che va dai 12 ai 27 °C.
L’imbottigliamento deve avvenire nella zona di produzione.
L’etichettatura deve riportare, tra le altre, le seguenti informazioni:
- la dicitura CHARANDA
- la categoria di appartenenza tra le quattro elencate nel disciplinare
- il contenuto di alcool e il volume della bottiglia
- i dati del produttore
- la dicitura “Hecho en Mexico” o similari
- la dicitura “Envasado de origen” o similari
- il contrassegno ufficiale, conforme alla norma messicana
CONCLUSIONI
Possiamo quindi concludere che la Charanda, per quanto sconosciuta, sia a tutti gli effetti un rum che ha una storia ed un disciplinare di produzione degni di nota. Encomiabile da questo punto di vista la scelta di alcuni produttori di non riportare affatto in etichetta la dicitura rum, sottolineando l’unicità e la tipicità del prodotto. Parte del mio lavoro in questo settore è proprio la ricerca e la divulgazione di queste chicche. Mi auguro che le informazioni contenute in questo articolo vi siano utili o perlomeno che abbiano in qualche modo suscitato il vostro interesse.
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