Rum italiani: dai pionieri della melassa al ritorno della canna

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Rum italiani- dai pionieri della melassa al ritorno della canna

Il mondo dei rum italiani ha radici più profonde di quanto si possa pensare. Se in passato i nostri distillatori lavoravano esclusivamente con melassa importata dai Caraibi, oggi l’Italia è diventata anche terra di sperimentazione con canna da zucchero coltivata in Sicilia e Campania. Dai pionieri come Zu Plun e R74 fino ai progetti agricoli di Mater, Avola e Berolà, la storia del rum italiano è un viaggio che racconta innovazione, identità e terroir mediterraneo. E tutto questo non è una “novità” in senso stretto, ma piuttosto un ritorno alle origini.

Dalla cannamela siciliana al rum nei porti italiani

La canna da zucchero in Italia vanta una storia sorprendente. Introdotta in Sicilia già in epoca arabo-normanna, tra il IX e l’XI secolo, divenne nei secoli successivi una coltura strategica per l’economia isolana. Tra Quattrocento e Cinquecento i trappeti da cannamela (mulini per la spremitura) erano diffusi lungo le coste e la Sicilia esportava zucchero raffinato verso le principali corti europee. Questa centralità declinò rapidamente a partire dal XVI secolo, quando i portoghesi svilupparono le piantagioni a Madeira e le potenze coloniali europee avviarono la produzione di zucchero nei Caraibi, relegando la coltura siciliana a un ruolo marginale fino alla sua scomparsa.

Il rum, nato nelle Americhe nel XVII secolo come sottoprodotto della lavorazione della canna, arrivò in Italia come spirito d’importazione. Non poteva ancora essere prodotto sul territorio, ma entrò presto nelle abitudini di consumo dei porti italiani. A Livorno, città cosmopolita e hub mercantile della Toscana, il rum divenne protagonista di un’icona locale: il ponce livornese, nato nel Seicento come adattamento italiano del punch britannico. Con la sua miscela di caffè, zucchero e rum, è tuttora una testimonianza di come questo distillato straniero sia stato reinterpretato in chiave italiana molto prima che qualcuno provasse a distillarlo entro i nostri confini.

I primi rum italiani: i pionieri della melassa

Il punto di partenza per parlare di rum italiano da melassa è legato ad alcune realtà altoatesine che hanno scelto di sperimentare con questa materia prima. Tra le prime c’è stata la distilleria Zu Plun, che ha utilizzato melassa e succo concentrato di canna importati dall’America Centrale, distillando in alambicco discontinuo e affinando in botti particolari come ex-Pedro Ximénez ed ex-sherry, con risultati dal carattere deciso e alpino.

Sempre in Alto Adige, la distilleria Roner ha presentato il progetto R74, nato da melassa di canna e distillato a Termeno con doppia distillazione. Nella versione R74 Aged, il rum matura per 5 anni in botti che avevano contenuto il distillato di mele Caldiff, sviluppando un profilo aromatico originale e riconoscibile.

Queste esperienze hanno rappresentato le prime tappe nello sviluppo del concetto di rum italiano prodotto da melassa, segnando l’avvio di un percorso che negli anni successivi si è ampliato con nuovi progetti e approcci.

Il ritorno della canna da zucchero in Italia

La nuova generazione di rum italiani da canna coltivata in proprio nasce grazie a figure concrete e visionarie che hanno trasformato l’idea in realtà.

A Avola, è stato Corrado Bellia a riprendere la coltivazione storica della canna da zucchero nel territorio e a far nascere Avola Rum, utilizzando succo fresco di canna e affidandosi alla Distilleria Giovi di Messina per la distillazione. Un progetto che ha ridato vita a una filiera locale dimenticata da secoli.

La Distilleria Alma di Modica, invece, è stata fondata nel 2021 da Hugo Gallardo e sua moglie Annalisa Spadaro, una coppia che ha unito competenze distillative e passione agricola per riportare la canna in Sicilia. Con loro c’è anche Alex, come terzo cofondatore, responsabile della parte agricola e finanziaria. Mater Rum nasce così come un progetto autenticamente “farm-to-glass”: coltivano varietà di canna gialla e viola, fermentano tra 72 e 96 ore, distillano in pot still a bagnomaria e lavorano ogni fase con cura artigianale.

In Campania, a Portico di Caserta, il progetto Berolà nasce dalla volontà della famiglia e in particolare di Antonio Di Mattia, laureato in chimica, e sua moglie Sarah, che nel 2016 hanno piantato canna da zucchero nei loro terreni. Da questa scelta nascono B‑RUM, prodotto da succo fresco a 51%, e nel 2024 Bottarum, affinato in botti ex‑Pallagrello Nero ed ex‑grappa: un rum che racconta l’identità agricola e vitivinicola della Campania.

Questi protagonisti – Corrado Bellia (Avola), Hugo Gallardo & Annalisa Spadaro (Alma), Antonio Di Mattia & Sarah (Berolà) – hanno reso possibile una rinascita unica: riportare la canna da zucchero in Italia, restituendole dignità moderna e legame con il territorio, e fondare una nuova interpretazione del rum che ha le sue radici qui, nella nostra terra.

Rum italiani oggi: identità mediterranea

Dal rum da melassa dei pionieri al rum da canna coltivata in Italia, il panorama è radicalmente cambiato. Oggi i rum italiani offrono profili aromatici che spaziano dal rotondo e dolce delle Dolomiti al fresco e vegetale della Sicilia e della Campania.

Un aspetto importante è quello terminologico: sebbene alcuni di questi rum siano prodotti da succo fresco di canna, non possono essere chiamati “rhum agricole” in senso legale. È corretto parlare di rum da succo fresco, evitando confusioni con le denominazioni protette come Martinica, Guadalupa, Réunion o Madeira.

Il futuro del rum italiano sembra segnato da una direzione precisa: autenticità e legame con il territorio. Le nuove distillerie agricole hanno dimostrato che la canna può crescere anche nel Mediterraneo, dando vita a rum di forte identità. Allo stesso tempo, i pionieri che hanno lavorato sulla melassa hanno reso possibile un percorso di credibilità che oggi si concretizza in progetti maturi e competitivi sul piano internazionale.

Che si parli di Zu Plun tra le Dolomiti, di Mater tra gli agrumeti siciliani o di Berolà in Campania, il rum italiano non è più un esperimento curioso ma una realtà che racconta l’Italia con un linguaggio nuovo e affascinante.

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